top of page

Il coding ed il pensiero computazionale: decido di scegliere!

Ci sono notti dove la mente gira così velocemente che non riesci a dormire. Sono le notti in cui il pensiero vola apparentemente veloce ma in realtà è fermo su alcuni ricordi, ricordi così precisi che al mattino si ha voglia di raccontarli.

Insegno ormai da 10 anni e se riguardo ai miei primi anni di docenza ritrovo alcune cose buffe: Il primo giorno di Scuola chiesi ai miei studenti cosa si aspettavano da un docente di fisica, chiesi come e perché e se la Fisica e poi la Matematica potessero far diventare dei buoni cittadini .

Nei primi anni di docenza alternavo ad esperimenti, la visione di Applet (un po’ stile Phet Colorado per intenderci) e qualche volta ne realizzavo io stesso (erano gli anno della Ssis con Cabrì e Geogebra). Erano gli anni delle lezioni sui blog, sui forum delle chat. Gli anni delle sperimentazioni con i videogiochi educativi.

Le Lim iniziavano a serpeggiare tra le classi e qualcuno si chiedeva a cosa potessero servire (al punto che restano spente ancora oggi in molte aule di miei colleghi).

In questi 10 anni ho incontrato colleghi fantastici, ma anche tanti altri che mi hanno lasciato poco o nulla.

Insegnare alle superiori non è sempre tutto rose e fiori, i colleghi sono spesso isole, ognuno chiuso nel suo mondo, con lo stress delle indicazioni ministeriali che diventano obblighi in vista dell’esame di maturità!

In questi anni ho sperimentato di tutto , dalle lezioni con i robot, con i droni, dall’utilizzo di serious games (ma non quelli di altri, no ce li siamo fatti noi), fino al coding, al flipped learning, alla realtà aumentata, alla stampa 3D , ai mondi virtuali,agli smartphone e i suoi sensori.

Molte di queste sperimentazioni oggi non sono più tali perché ormai integrate nella mia didattica, al punto che fare Fisica in un mondo virtuale diventa non un diversivo ma uno strumento integrato con specifiche metodologie.

Le lezioni con i robot sono diventate curriculari e gli studenti utilizzano tutti gli strumenti possibili (e non solo gesso e lavagna, ma soprattutto carta e penna).

Cosa è cambiato in questi 10 anni?

Decisamente gli strumenti, ma non la passione e la voglia di capire.

Nel mio Tedx Padova iniziai dicendo che quando ero adolescente la mia prof di Matematica e Fisica non aveva mai dato risposte a certe mie curiosità, al punto che dovevo andare da solo alla Biblioteca storica di Napoli per cercare i libri di Einstein, perché volevo capire non solo cosa fossero i buchi neri, ma anche come era nato l’Universo.

Erano gli anni in cui la Fisica per me rappresentava qualcosa di oggettivo, assoluto. Era per me razionale e quindi condivisibile, molto più della stessa Filosofia. Era un pretesto per discutere di Dio e dei miei mille dubbi.

Mi sono dovuto poi laureare in Fisica per avere certe risposte e per caricarmi di tante altre domande.

Già le domande: qualcuno scrisse che le risposte sono la strada che ci lasciamo alle spalle e le domande la strada che abbiamo davanti.

Ho sempre amato le domande, le ho ho amate e le amo irriverenti, pungenti, sardoniche e sarcastiche. Amo le domande intelligenti ed amo le domande piene di dubbi.

Amo anche chi fa domande ed amo che i miei studenti pongono le domande e soprattutto mettano in discussione, si confrontano.

Da adolescente lessi il Gabbiano Jonathan Linvingstone e ne rimasi affascinato.

Ho imparato da quel testo che non bisogna avere miti, che tutti noi possiamo volare come il Gabbiano Livingstone, se crediamo in noi stessi.

Ho imparato che avere miti limita solo la nostra capacità di vederci migliori e di puntare in alto.

Ma ritorniamo all’inizio.

Notte insonne dicevo questa di poche ore fa.

Insonne perché mi sono chiesto chi e quale docente sono.

Da 3 anni condivido e ho condiviso in rete oltre 100 articoli e più di 200 esperienze di Fisica e Matematica ma soprattutto raccontando le mie passioni che sono il mio lavoro oggi.

Esperienze dove sperimento e faccio sperimentare i miei studenti con la Natura, quella Natura che si dipana davanti ai nostri occhi.

Esperienze con bicchieri di plastica, con super magneti, con microonde, con Arduino, con pannelli fotovoltaici, con videogiochi, legno o con leap motion. Esperienze analogiche ed anche digitali.

Già analogico e digitale: per me non vi è alcuna differenza, perché potrei fare a meno di tutte queste cose, ma non potrei fare a meno delle domande, della curiosità, della voglia di capire.

Quando ero studente di Fisica mi avvicinai ai lavori di Godel prima e poi di Turing poi.

Godel era quasi un must per noi studenti di Fisica, erano gli anni in cui ci confrontavamo con gli spazi di Hilbert e con il fantasmagorico mondo della Meccanica quantistica.

Turing invece rendeva sostanza al mio pensiero. Cosa è computabile? Esiste una intelligenza artificiale? Una macchina può risolvere teoremi e scrivere teorie fisiche?

Il pensiero umano è algoritmico?

Sono figlio di quegli anni e di questi autori, ma sono anche figlio di una formazione che mi ha restituito certezze e domande sulla didattica, sul concetto di efficacia , di buone pratiche. Figlio di una didattica che non è docente o studente centrica, ma che vedi entrambi co-costruttori.

Figlio di una Scuola dove il lavorare in gruppo è sempre stato qualcosa di dimenticato.

In questi anni sui social mi sono sempre espresso a favore della curiosità, della voglia di sperimentare e mi sono sempre battuto (più o meno amorevolmente) con i colleghi zombie.

Zombie già, perché qualcuno scriveva che lentamente muore chi non ha passione, chi non si aggiorna, chi ripete le cose sempre allo stesso modo.

Certi miei post e certi miei articoli sono diventati virali, al punto che nel 2015 ricevo persino il titolo (o premio? Boh) di docente innovatore italiano. Docente innovatore? E per cosa? Per aver semplicemente condiviso le mie passioni?

Qualcuno ha detto che innovazione è unire bisogni vecchi con strumenti nuovi o bisogni nuovi con strumenti vecchi.

Ma dal mio punto di vista il bisogno è sempre stato unico: la voglia di sapere , di capire, di sperimentare e gli strumenti sempre la mia testa, ed i miei occhi e le mie mani…..ed il mio cuore.

Sperimentare!! Ma come sperimentare se non si ha l’apertura mentale e la predisposizione a mettere in discussione le cose?

E ritorniamo a questa notte insonne.

In questi anni da docente di Matematica ho insegnato (che verbo oddio) a risolvere problemi, a porre problemi.

Ho insegnato con carta e penna, con ARDESIA E GESSO, CON LIM E MICROCONTROLLORI, CON ROBOT E VIDEOGIOCHI.

Ho sempre condiviso le mie esperienze gratuitamente e sempre gratuitamente mi sono aperto a sperimentazioni, a progetti di ricerca didattica. Quasi sempre ahimè da solo.

Mi piace elencare non le cose belle che ho fatto, ma dire che le cose non belle che ho fatto. E ce ne sono tante e sono sempre accadute quando ho anteposto i miei desideri, le mie voglie a quelle degli studenti.

Un giorno entrai in classe con un drone.

Adoro la tecnologia e mi piaceva mostrarla.

Passammo 1 ora a far volare questo oggetto, quando una mia studentessa mi si avvicina e mi dice: prof ieri a casa ho letto alcune pagine di Fisica ed ho fatto alcuni esperimenti, come lei ci aveva detto, mi piaceva parlarne oggi in classe….ma abbiamo “giocato” con il drone!

Giocare? Ma se io volevo solo farti vedere quanto è bello…quanta fisica e tecnologia in esso…..

Ricordo che chiusi tutto, aspettai che suonasse la campanella e tornai a casa e mi chiesi: ma cosa ho fatto? Cosa ho voluto dimostrare?

La Scienza non si impone e men che mai si impongono le passioni, quelle si possono al massimo condividere.

In questi anni , dicevo prima, ho sperimentato di tutto. Ho utilizzato strumenti e diavolerie neppure mai distribuite in Italia. A casa ho una stanza piena di cose, talmente piena che la mia povera Fiat Punto trabocca di dispositivi elettronici e di strumenti poveri che ho libero solo il sedile passeggeri anteriore.

Ho deciso di investire sulla sperimentazione e l’ho fatto per capire, per appagare la mia curiosità e quella dei miei studenti, spesso a mie spese.

In questi mesi si parla di innovazione più che mai.

Si parla di pensiero trasversale, di metodologie innovative.

Si parla di pensiero computazionale e di coding.

Già parliamone, perché in questi giorni ho deciso di esprimere pubblicamente alcuni dubbi.

Leggo che il il coding non è informatica, che è un linguaggio trasversale, che è alla base di molti (o forse tutti) i ragionamenti.

Leggo che inserire il coding nei curriculi risponde a desiderio di futuro, a richieste lavorative.

Leggo male? Capisco io male?

Sicuramente sì

E qui mi fermo: quando avevo 18 anni mio papà mi chiese di scegliere, scegliere se continuare l’azienda di famiglia o di iscrivermi a fisica.

Non ho mai avuto dubbi: ho scelto la mia passione, ho scelto di rispondere alla mia sete di conoscenza.

Il coding è un linguaggio trasversale? Lo applichiamo anche inconsciamente?

Non lo so, so solo che sono figlio di una Scuola che non mi ha mai insegnato alcun linguaggio di programmazione (che ho dovuto imparare da solo), ma sono figlio di una Scuola che mi ha insegnato a ragionare, a pormi domande e questo grazie ad alcuni (non pochi ma non troppi) docenti della mia giovinezza.

E’ la Scuola che ha partorito Einstein, ma anche Bill Gates, la Montalcini e lo stesso Trump (nel bene e nel male, ognuno ci veda il suo).

E’ la Scuola che deve dettare l’innovazione e non subirla.

Giorni fa ero alla lavagna e facevo esercizi di geometria analitica con i miei studenti. Abbiamo affrontato un problema così affascinante che ci siamo guardati tutti negli occhi: cavolo quanta bellezza in tutto questo!

Già quanta bellezza.

Abbiamo ragionato con algoritmi?

Non lo so, non credo.

Di sicuro non ci siamo posti tante domande su cosa sia innovazione, abbiamo ragionato tutti insieme, abbiamo sbagliato, abbiamo trovato alcune soluzioni, forse non le migliori.

In questi giorni ho deciso di dire pubblicamente il mio sì al coding, ma il mio no ad un certo modo di fare coding.

Una poesia che amo, dice che i regali di latta e lustrini si sciupano e vanno subito via, che i regali migliori sono quelli fatti di cose vere, di emozioni.

Allo stesso modo penso che la Scuola non abbia bisogno di magliette e palloncini, ma ha bisogno di cose vere e che si chiamano collaborazione, ascolto, accoglienza.

Questa notte non ho dormito e quindi ho deciso di scrivere.

Su Facebook ho ricevuto in 48 ore messaggi ambigui spesso duri.

Mi hanno scritto che non ho stile e che sono caduto in basso.

Mi hanno scritto che sono un conservatore e che sono contro l’innovazione.

Mi hanno scritto di uscire da gruppi di docenti sul coding perché non sono il benvenuto.

E tutto questo per cosa?

Per aver espresso dubbi…per aver posto domande!

Ed allora ripenso al concetto di mito….mi sono detto: Alfonso ma tu non hai miti, in fondo stai solo cercando di capire

E tutto questo mi ha dato forza ma anche sconforto, perché sto scrivendo e perdendo tempo

Quante cose potrei fare?

Potrei continuare i miei progetti già avviati per costruire ausili per i disabili, per cambiare il territorio partendo dagli anziani.

Potrei continuare a sperimentare con i miei studenti che proprio in questi giorni stanno facendo squadra per costruire un rover marziano o un braccio robotico ed altre diavolerie simili.

Perché sono qui a scrivere? Perché voglio discutere solo con i miei colleghi e voglio farlo anche ascoltando idee diverse, perché dalla diversità noi cresciamo e cresciamo anche con l’ironia, con il sarcasmo

CAVOLO ANCHE CON LA SATIRA PUNGENTE!

Perché non siamo mica assoluti, mica portatori di una verità unica?

Mesi fa dicevo che nelle scuole italiane girano degli zombie e sono i tanti colleghi che hanno deciso si farsi scegliere e di non scegliere ed allora mi chiedo, ma perché non posso confrontarmi? Perché dire la propria e dire no ad un certo modo di fare coding, fatto solo di lustrini e palloncini, significa essere irrispettosi ed irriverenti?

Irriverenti verso chi?

Verso cosa?

Chi mi conosce sa quanto amo il mio lavoro, quanto vado fiero di essere docente e quanto amo certi strumenti….

Strumenti appunto

E mi arrogo il diritto di buttarli a mare.

Riapro le pagine di Papert e le leggo, quasi piangendo.

A proposito chi oggi fa coding ha mai letto Papert?

quanta bellezza vero?

Il coding è il futuro?

Anche no

Il coding è pensiero trasversale?

Anche no

Il coding può essere fatto in un solo modo?

Anche no

Voglio collaborare anche con chi è diverso da me?

Anche sì

Ed allora ritorno indietro e mi ritrovo adolescente, con la voglia di sapere, di capire, con le mie passioni e mi chiedo: cosa vuoi fare da grande?

Ed ancora una volta decido di scegliere e di non farmi scegliere

Sono un docente e me ne vanto!!

Alfonsodambrosio@yahoo.it

bottom of page